Secondo l’interpretazione prevalente, il riferimento è alla validazione temporale semplice e non a quella (disciplinata nell’art. 42 Eidas) qualificata: si verificherebbe, in sintesi, un’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., ma resterebbe sempre ammessa, per i controinteressati, la possibilità di dimostrare la falsità della data. Sarà quindi la giurisprudenza a stabilire il grado di affidabilità probatoria delle diverse blockchain, verosimilmente basandosi sul livello di hash rate.